J’accuse del 16/03/15 sull’assassinio del presidente Moro




Oggi ricorre l’anniversario del rapimento del presidente Moro e dell’uccisione delle cinque guardie della sua scorta a via Fani. La via di tutti i misteri!  Qualcuno disse che in quell’ attentato si trattò di “ una geometrica potenza”, cioè che gli assalitori non lasciarono nessuno scampo a quelle povere guardie di difendersi e di salvare il povero Moro da quella triste fine.  Tutto fu studiato ai minimi dettagli, tutto venne previsto al millesimo di secondo. Una precisione e una spietatezza incredibili.  Il presidente Moro, però, non morì subito e questa fu la sua  sfortuna: egli venne incarcerato e usato dai suoi rapitori come merce di scambio: Moro contro altri brigatisti. Questa fu la versione ufficiale che conosciamo. E sappiamo bene che tutto l’ufficiale cela le menzogne dette e i fatti non detti. La verità è la prima a morire quando si tratta di fatti simili. Dalle tante lettere che Moro scrisse dalla sua cella traspare  l’incredulità e l’amarezza verso quei colleghi e amici di partito che l’hanno abbandonato: Andreotti, De Mita, Fanfani, e altri…. “ Mi avete tradito e svenduto per il potere e altri interessi…” sussurrava il Moro guardando le pareti della sua cella e i volti dei brigatisti che trovava  più sinceri e comprensivi dei suoi traditori. Vorrei terminare questa riflessione con una frase molto bella del Moro, direi commovente e attuale: "Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale. Nessuna zona d'ombra, niente che sia morto, niente che sia fuori dalla linfa vitale della società". 

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