J’Accuse del 17 Maggio 2020, il “Fu silvia Romano” e il “Fu Mattia Pascal” di Pirandello. Aspetti comuni e diversità sostanziali
J’Accuse del 17 Maggio 2020, il “Fu
silvia Romano” e il “Fu Mattia Pascal” di Pirandello. Aspetti comuni e diversità sostanziali
La vicenda personale di Silvia
Romano s’inserisce in un romanzo i cui capitoli sono ancora da leggere e da
scrivere. E’ un romanzo ancora da immaginare e da definire nei suoi contorni
più misteriosi e incomprensibili. Si tratta di una vicenda drammatica e
sorprendente nei suoi sviluppi e nelle metamorfosi che essa induce nel suo
personaggio principale e nelle comunità investite dalla forza emotiva dei fatti
che la connotano. Al pari del romanzo
Pirandelliano vi è un personaggio mutevole: ora volenteroso e artefice del
proprio destino e ora apprensivo e vittima degli eventi drammatici che
rimangono ancora poco chiari.
Silvia Romano, una ragazza
modello, aveva una sua identità e i suoi ideali di solidarietà e di fratellanza
tra i popoli. Dopo la laurea in Mediazione Culturale e Linguistica si convince
e decide di andare in Kenya come cooperante per l “Africa Milele Onlus”, con
sede a Fano nelle Marche, occupandosi di progetti a favore di bambini in Kenya.
Che bella storia! Una ragazza con grandi ideali è un esempio di rinuncia e di
sacrificio per tutti i giovani della sua età. Proprio questa decisione implicò
per la ragazza milanese, non solo il fatto di trasferirsi in una realtà
totalmente diversa da quella in cui è nata e cresciuta, ma anche da li
riscontriamo, per così dire, una prima genesi alla metamorfosi nella quale si stava imbarcando inconsapevolmente.
Quello che Silvia sapeva, in modo inconscio, è che quella realtà del Kenya,
piena di miserie e d'insidie, come d’altra parte la realtà di tutti i paesi
del continente africano, avrebbe in qualche modo travolto la sua esistenza sia
a livello emozionale sia a livello personale. L’andare lì, avrebbe avuto un
impatto sulla sua identità, un impatto non innocuo ma sostanziale. Perciò il
nostro personaggio era ben cosciente che sarebbe sceso a compromesso con quella
realtà: è un modo per adattarsi all’ambiente. “la Adriana Meis” del romanzo Silvia Romano si
sentiva in questo modo artefice del proprio destino con una cultura cosmopolita
e universalista. Nella sua mente l’appartenenza ad una identità è qualcosa di
riduttivo e di semplicistico e non attinente a quella scelta fatta quando
decise di intraprendere questa appassionante avventura della cooperante. Poi
avvenne il rapimento ad opera di Al Shabab, organizzazione estremista armata
che lotta per instaurare uno stato islamico nel corno d’Africa. Qui, quella “Adriana Meis” fino a quel momento
sviluppata in un contesto di libertà e di universilità di valori subisce un’aggressione
letale. Quelle tristi vicende del suo rapimento sono tutte da scrivere e da
interpretare, ma il nostro immaginario per quanto si sforzi a ricostruire
quegli struggenti situazioni di dolore e di privazione della libertà, non potrà
mai essere così esauriente e preciso. Ciononostante “Adriana Meis”, decise di
superare quel personaggio bello e universale che aveva sognato e costruito per
aderire ad un’altra identità, magari foss’anche per provare le emozioni e le
sofferenze delle donne che aveva conosciuto nella sua prigionia o per puro
convincimento; chi lo sa? E’ una metamorfosi potente e travolgente che la sua
mente e il suo fisico hanno sperimentano. La mutevole psicologia di questo nuovo
personaggio stupisce ancora nonostante la liberazione ad opera dei nostri
servizi segreti. Questa volta Silvia, ovvero la "fu silvia Romano” ritorna a Milano
vestita con uno chador. Scendendo dall’aereo che l’ha riportata in patria,
commuove e stupisce la comunità nazionale. “ Come si domandano i pettegoli e i
villani: Silvia Romano non è più una di noi! Ella ha abbracciato l’identità dei
suoi rapitori, stupendoci ancora. Ma perché si domandano ancora: non era meglio
l’identità cristiana del suo paese natio? Insomma questa vicenda solleva un
polverone come una tempesta di sabbia. La gente rifiuta di capacitarsi che
quella è Silvia. La sua tunica allude a quelle indossate da donne sottomesse e
inferiori. “E’ una terrorista da impiccare!”, tuona addirittura un deputato
dell’Assemblea nazionale. Che vergogna! Ma in verità solo la "Fu Silvia" sa del
perché la sua mente ha subito questa nuova stupefacente metamorfosi. Osservando il
suo viso scolpito dal dolore e dalle emozioni, si capisce la profondità delle ferite che aveva subito. Spesso le ferite dell’anima non guariscono mai. Quelle
sono e rimangono invisibili. Per ora accontentiamo del suo sorriso e del fatto
che ognuno è libero di scegliersi una propria identità, senza essere odiato e
insultato dai balordi e gli ignoranti. Quel chador che ella indossa ora cela un’universalità
che sta per rivelarsi: gli uomini sono uguali, a prescindere delle loro
vesti e del loro credo. La meraviglia fa parte del gioco dell'essere, così come il pettegolezzo costella le relazioni umane. Sarà questa la lezione del suo nuovo personaggio, in
attesa di altre metamorfosi…
Quello che accumuna i
due personaggi è l’aspetto psicologico turbolento, Andrea Meis e la Fu Silvia
Romano sono due personaggi in perenne ricerca di un’identità, ma le loro vite e
le loro morti rappresentano non solo un momento di rottura con la realtà d’origine
ma uno slancio verso nuove interpretazioni edificanti e appassionanti.
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