J’Accuse del 5 febbraio 2021 Sulla nomina di Draghi e la crisi del sistema partitico in Italia. Urgente riforma e rifondazione della politica.

 


J’Accuse del 5 febbraio 2021 Sulla nomina di Draghi e la crisi del sistema partitico in Italia. Urgente riforma e rifondazione della politica.

Se la politica è l’arte di risolvere i problemi di un determinato paese, allora nel caso italiano siamo di fronte a politicanti che non ne conoscono i concetti né tantomeno le tecniche e le virtù. La crisi di governo che il signor Renzi ha aperto non solo ha denudato il re come egli stesso aveva sottolineato ma soprattutto un sistema fallimentare e controproducente privo di ideali e di sensibilità e soprattutto di quel rispetto verso il bene supremo della nazione in un momento di estrema difficoltà per le imprese e i cittadini.

Aprire una crisi di governo qualunque ne siano le motivazioni e per giunta quando si è trattato, come in questo caso, di un eccesso di amor proprio dei diversi personaggi in campo, ci lascia non solo scioccati ma sfiduciati e atterriti di fronte all’irresponsabilità e all’incompetenza dei protagonisti della crisi. La caduta di questa maggioranza è un fallimento non solo della politica ma anche del sistema partitico imperniato sul presunto scontro di ideologie, considerate oramai da tutti desuete. Se la costituzione italiana nel suo Articolo 49 enuncia:  tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, conferendo ai partiti questa responsabilità di concorrere e mediare il consenso politico e di finalizzarlo alla determinazione di politiche che tutelino il bene supremo della nazione, nell’ambito dei principi costituzionali e del rispetto della democrazia, noi oggi assistiamo ad una malsana metamorfosi di questo concetto: in questo contesto ci domandiamo se i partiti sono di fatto quello che dice l’articolo 49, vale a dire associazioni che concorrono alla democrazia e alla determinazione di politiche nazionali ( si augura benevoli per il paese) oppure sono diventati un coacervo di interessi particolari e di scontri personali e ideologici che determinano solo il caos e soprattutto le commedie dell’arte alle quali abbiamo assistito finora?

Un saggio analista non aggiungerebbe altro. Ovviamente, la rabbia dentro per quello che è accaduto è grande. Il paese è smarrito o quasi. L’economia è in profonda crisi e il lavoro manca. La gente è depressa. E di fronte a tutto queste miserie, ci si permette il lusso di litigare e di rovesciare i tavoli e per giunta ed è la cosa più grave si tradisce apertamente quel mandato conferito dagli elettori alla classe politica, la quale si è autoproclamata incapace di gestire questa situazione drammatica in cui versa il paese. E allora che cosa rimane da fare?

Avete mai visto un padre di famiglia che abbandona le sue responsabilità e i doveri verso la sua prole?

Lo fanno le persone più sregolate e insensibili ma non quelle che hanno a cuore la salute e il benessere dei propri figli. Il ricorso a Draghi da parte del presidente della repubblica corrobora un’altra volta quanto detto prima: gli uomini della Banca centrale d’Italia, i professori non possono sostituirsi alla classe politica eletta dal popolo italiano. E’ sempre un fallimento della democrazia. Ed è soprattutto un aborto di quel principio insito nell’art 49 laddove indica i partiti come autori e mediatori del consenso politico. Sotto quest’ottica la nomina di Draghi è di fatto un commissariamento del governo nazionale. Auguriamo al Dottor Draghi di far uscire il paese dal buio e dall’oscurantismo in cui versa. Ma la prima riforma da fare è quella che riguarda la legge elettorale: occorre una volta per tutte adottare un sistema elettorale che dia al paese una stabilità e governi duraturi. Le banche e i mercati non possono sostituirsi alla volontà popolare e men che meno le istituzioni europee, laddove sono loro che concorrono direttamente o indirettamente con il meccanismo dello spread alla caduta o alla nomina di governi che alla fine non sono mai rappresentativi. Peccato dirlo ma è proprio così.

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