J’Accuse del venerdì 25 luglio 2025 sul partenariato Meloni et Tebboune, due paesi, Italia e Algeria allo specchio del Mar Mediterraneo

 

J’Accuse del 28 luglio 2025 sul partenariato Meloni et Tebboune, due paesi, Italia e Algeria allo specchio del Mar Mediterraneo

 





Chi lo poteva immaginare questo grande feeling tra Algeri e Roma? Che al quinto incontro intergovernativo si sta traducendo in un proficuo e fattivo partenariato tra i due paesi portato avanti da ideali e obiettivi comuni alla luce degli sconvolgimenti geostrategici e della guerra d’Ucraina che ha in qualche modo costretto l’Italia ad allargare la sua visione verso Sud e ad est, alla ricerca di nuovi fornitori d’energia. L’idea d’ispirarsi al grande progetto di Enrico Mattei, amico degli algerini un tempo, perché aveva sostenuto la loro lotta di liberazione dalla Francia per far dell’Algeria un partner strategico ed energetico, trasformandola in un modello di sviluppo per tutto il continente africano, è oggi realtà, ma secondo noi è pura utopia, alla luce del contesto regionale e internazionale attuale. Il progetto del povero Mattei, nel bene o nel male, non era male ma fu osteggiato dalle grandi potenze e dalle principali compagnie petrolifere mondiali, le cosiddette 7 sorelle. La sua stessa morte è fino ad oggi oggetto di sospetti e accuse verso chi non vuole che Roma ritorni a ficcare il naso in aree d’interesse esclusivo di alcune potenze regionali. Questa vicenda però ci fa ricordare un’altra molto simile nei contorni, negli obiettivi e nelle grandi contraddizioni. Esaminando la vicenda in oggetto, sembra che l’allievo Meloni abbia superato il Maestro Berlusconi nei calcoli politici, economici e geostrategici. Il cavalier Silvio aveva fatto tanto per far della Libia un alleato politico, energetico ed economico e una fonte importante per lo sviluppo delle imprese italiane, ma il suo grande progetto, al pari di quello del Mattei, fu osteggiato e alla fine, egli stesso, grazie al complotto franco-tedesco, ordito con la storia dello spread, fu cacciato dal governo e il regime del suo alleato Moammar Gheddafi, fu annientato dall’aviazione prima francese e  poi quella della Nato, partita proprio dalla Sicilia, base Sigonella e dai mercenari paracadutati in Libia dai paesi del Golfo. Questa vicenda è così emblematica che non può non servire da lezione a chi oggi dimentica non solo il passato vicino ma persino si azzarda a costruire alleanze e progetti a cui serve una coralità e una condivisione di tutti gli attori regionali interessati. Che Tebboune sia diverso da Gheddafi di fronte agli occhi della Meloni è molto relativo. Entrambi i paesi erano e sono considerati a rischio dalle Cancellerie occidentali. Se la Libia Ghedddafiana è stata consegnata al caos, alle divisioni politiche e agli appetiti della Turchia, Francia, Egitto, Russia, oggi la stabilità del regime militare algerino è una pura illusione. Lo stesso regime Tebboune spacciato per essere democratico è un regime autoritario e repressivo costruito sull’apparato militare e sulla censura e le disuguaglianze. Non può non sfuggire all’osservatore politico o persino al diplomatico accreditato, tale verità di crisi permanente e di incertezze nella regione Nord-Africana dove il conflitto del Sahara occidentale, scoppiato settant’anni fa abbia condizionato politicamente, economicamente e strategicamente lo sviluppo di un’unione del Maghreb che, se fosse stata costituita, avrebbe costituito un volano di sviluppo economico, politico e strategico di tutta la regione. Certamente nella mente dello statista Tebboune, tale verità è un fallimento amaro per lui e per tutte le classi politiche che hanno governato ad Algeri dall’indipendenza del paese fino ad oggi. Così come nella mente della stessa Meloni, il non aver parlato chiaramente di quest’aspetti, dopo la presa di posizione di tutte le altre cancellerie occidentali, oramai favorevoli alla soluzione politica del conflitto del Sahara occidentale, che affiderebbe il territorio conteso, alla sovranità marocchina, la dice lunga sulle mere intenzioni del governo attuale a Roma, di non prendere posizione a tal proposito e di considerare solamente gli interessi propri, che ovviamente, assomigliano in qualche modo alla vicenda libica e a quello che pensava Berlusconi. Non vi è dubbio che lo stesso piano Mattei per l’Africa sia anche esso una pura propaganda. Se l’Algeria avesse investito nell’economia propria i proventi del Gas e del petrolio in tutti questi passati decenni, avrebbe trasformato l’intero Area del nord Africa in un paradiso e avrebbe così ridotto sennò azzerato persino il problema dell’immigrazione clandestina che oggi proviene dalle stesse zone povere dell’Algeria. Invece Algeri si è armata e si sta armando in continuazione, per sostenere il Polisario con compravendite di decine di miliardi di dollari dalla Russia, Cina e altri paesi. E questa corsa al riarmo che assorbe risorse ingenti economiche è vista dagli stessi algerini come un male assoluto. Però come la Nato vede il riarmo dell’Algeria? E contro chi esso è finalizzato?

Sono due domande cruciali e condizionanti. La nostra presidente del Consiglio lo sa bene e sa bene che gli orientamenti della politica estera francese sono opposti alla sua in questa materia. Sebbene lei vanti la sua alleanza con Trump oggigiorno, questa alleanza non è sufficiente a costruire questo partenariato su delle basi durevoli. Questo progetto, in realtà, doveva coinvolgere tutti gli attori regionali, e non basarsi su degli egoismi nazionali e aggiungerei su una strabica lettura della realtà e della storia, come al solito ci ha abituato la protagonista. Ad ogni modo staremo a vedere il tempo ci dirà se il silenzio sulle questioni politiche scottanti come il rispetto dei diritti umani e la democrazia, abbiano avuto la meglio sulle questioni prettamente energetiche e imperialistiche, perché, in definitiva, sono gli africani a dover concertare i piani del loro sviluppo, e non gli altri.

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