J‘Accuse del 23 agosto 2025 Gli Atenei italiani: una sfida di progresso e d'integrità per l'intero paese

 

J‘Accuse del 23 agosto 2025 una sfida di progresso e d'integrità per l'intera società

 




Quando parliamo di Atenei italiani immaginiamo una grande costellazione di conoscenza e di scienza che traina la società civile nel suo complesso verso il progresso e l’innovazione. Certamente questo è vero e lo è in proporzione alla loro eccellenza e la loro capacità a generare modelli scientifici, educativi e organizzativi in grado di portare in avanti i processi sociali, culturali tali da migliorare la qualità della vita dell’intera società a cui appartengono. Gli Atenei italiani godono di ampie autonomie conferite dalla nostra costituzione nel suo articolo 33 che sancisce “la libertà dell'arte e della scienza, e l'autonomia delle università” e questa realtà è stata una grande conquista dopo il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale ed è responsabilità di chi gestisce queste istituzioni oggi di non tradire lo spirito stesso della costituzione repubblicana e della stessa uguaglianza dei diritti e delle opportunità tra i cittadini che essa stessa garantisce. Tuttavia quello a cui abbiamo assistito in questi decenni necessita di qualche critica, perché l’art. 33 della costituzione repubblicana, se da una parte ha garantito l’autonomia, dall’altra ha creato, non volendolo, un mondo aristocratico e intoccabile, che ha tramandato poltrone e sapere, spesso acritico, che si è tradotto nelle lottizzazioni politiche e delle posizioni (la mobilità è riservata a chi sta dentro), da una parte e nella fuga dei cervelli dall’altra. In questo modo è evoluta un’organizzazione accademica e amministrativa che si è adattata alle leggi che venivano di volta in volta introdotte, da ultima la legge 240/2010, cosiddetta Gelmini, al fine migliorare gli assetti e premiare, come diceva ogni buona ed eclettica maggioranza al governo di questo paese, il merito e la qualità del personale universitario. Quello, però, a cui si è assistito e si assiste è una persistente svalutazione di quest’ultimo attraverso l’introduzione di criteri che premiano l’anzianità rispetto ai titoli universitari o anche le posizioni di responsabilità, che vengono conferite alle proprie clientele, rispetto al criterio meritocratico ed egualitario garantito dalla nostra costituzione. Ad esempio quando s’indice un concorso pubblico nelle Università spetta all’Ateneo promotore del concorso scegliere l’ateneo italiano che vigilerà sulla sua organizzazione e sulla valutazione dei candidati, lasciando in teoria ampia la possibilità di stabilire intese sotto banco, per garantire il passaggio dei candidati già prescelti. O ancora, quando si fanno le progressioni cosiddette orizzontali o verticali, lo stesso avviene con criteri già congeniati che stabilirebbero in partenza già i vincitori sulla carta. Già! Tutto di già! Tutto si sa in partenza e il guaio è che tutto è concordato con i sindacati che non sono in grado d'imporsi e garantire l’accesso alle progressioni a tutto il personale, nonostante la grande inflazione, i rincari e il calo del potere d’acquisto dei salari.

 

Insomma la tentazione che balena in mente dopo tutto ciò è che se gli Atenei pubblici italiani fossero aziende private -( e in parte lo sono)- che hanno e generano fondi propri non ci sarebbe nessun problema a dire che "sono affari loro!", ma la tentazione è quella di dire: certamente che non torni lo stato a gestire le università, ma per lo meno a vigilare meglio su di essa, stabilendo criteri imparziali, e questo alla luce dell'ultimo stanziamento del governo nazionale[1], al meno in questo modo si potrebbe indurre a qualche cambiamento sia nell’organizzazione amministrativa, sia nell’attribuzione del grado di autonomia, sia nella stessa elezione dei rettori che oggi avviene con un voto ai docenti e un terzo agli amministrativi, sia infine nell’applicazione dello stesso principio di uguaglianza tra i cittadini. Forse migliorando i nostri assetti e dando maggiore rilievo al merito, riusciremo a portare le università italiane tra le prime nei maggiori ranking delle più importanti Agenzie di ranking internazionali. 



[1] Il Fondo di Finanziamento Ordinario 2025 consolida il percorso di crescita degli investimenti nel sistema universitario italiano, confermando l’impegno del governo a favore dell’istruzione superiore e della ricerca. Dal 2022 al 2025 il FFO è cresciuto di circa l’8%, passando da 8,6 a 9,4 miliardi di euro. Questo incremento rappresenta un segnale concreto di attenzione verso il mondo accademico e ci permetterà di ampliare le opportunità per gli studenti, valorizzare il lavoro di docenti e ricercatori e dare nuova linfa all’innovazione e alla conoscenza, pilastri fondamentali per il futuro del Paese», ha detto il ministro Bernini.


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