J’Accuse del 26/07/2019 sui
sepolcri del mare, profughi in cerca di una speranza
Una mia poesia, in omaggio a chi
muore nel mare inseguendo un sogno, una speranza, un ideale. La vita va sempre
difesa e amata e chi chiude i porti e aizza i popoli gli uni contro gli altri è
un seminatore di odio e non merita nessun rispetto e men che meno di essere
considerato un essere umano, a sua volta.
La notizia dell’ultimo naufragio
davanti alle coste libiche riportata dalle agenzie di stampa con un
pesantissimo bilancio di morte stimato in 150 morti tra cui donne e bambini, ci
riporta un po’ indietro allorché naufragò una imbarcazione libica usata per il
trasporto di migranti il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa.
Quel naufragio ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti e
venne considerati come una delle più gravi catastrofi marittime nel
Mediterraneo. Purtroppo la ferita continua a sanguinare (con tutto il suo
carico metaforico di drammi e d’ingiustizie) e il flusso dei profughi dalla
Libia non s’interrompe nonostante tutte le misure repressive prese dai governi
europei e in particolar modo dall’attuale governo di Roma. In particolar, la
chiusura dei porti e la repressione delle ONG, accusate di collusione e di
trasporto dei profughi in Italia, non risolvono alla radice la questione dei
profughi bensì l’aggravano, in quanto quest’ultimi si trovano abbandonati tra
due fuochi: quello dei loro sequestratori e sfruttatori che li usano per
arricchirsi e come merce di scambio e che sono rappresentati dalle milizie che
controllano il territorio libico e quello dei governi nazionalisti dell’altra
sponda del Mediterraneo che rifiutano di accoglierli, violando in questo modo
le convenzioni internazionali e la stessa legge del mare.
Ma quali sono i rimedi e quale
soluzione realistica da immaginare a questo problema
Non esistono soluzioni che presuppongono l’apertura di una
nuova era nelle relazioni internazionali. Occorre capire che il problema dell’insicurezza
che regna in Libia che rimane irrisolto è un problema di cui dovrà farsi carico
l’intera Comunità internazionale. La Libia rimane una ferita aperta e ancor
peggio un teatro dove si scontrano un coacervo d’interessi confliggenti. Ciò fa
sì che nel paese continui a regnare il caos e quindi anche il commercio degli schiavi
che vengono dall’Africa profonda in cerca di fortuna o di una speranza di
attraversare il mare e di trovarsi in Europa. Appunto, l’Africa! Bisogna
trovare delle soluzioni in loco che diano sviluppo e benessere e siano quindi
un vero e efficace deterrente all’immigrazione, oltre ovviamente il fatto di
lavorare tutti perché in Africa regni pace, giustizia e democrazia. Spesso chi
fugge da quelle aree è perseguitato e represso da regimi dittatoriali che hanno
buone relazioni con le multinazionali e le cancellerie occidentali. Bisogna prima
di tutto disconoscere questi tiranni e fare in modo che le società civili
abbiano una voce nelle decisioni che riguardano l’economia e il destino di
questi paesi. I morti nel Mediterraneo in definitiva sono anche il risultato
indiretto di certe politiche incentrate sullo sfruttamento delle risorse dell’Afirica
e per nulla interessate dal rispetto dei diritti umani e dello stesso diritto
alla vita, così calpestato e così svenduto sia a sud sia a nord del mitico Mar
mediterraneo. Peccato.
Ripropongo la poesia
in memoria alla memoria dei naufraghi
I sepolcri del mare
Il parto funebre
All’alba arriva
L’orrore è sulla riva
La morte e le tenebre
All’alba si muore…
Tra le fiamme dell’abbandono
le speranze si perdono…
Finalmente un po’ di clamore!
Sento angeli ebbri
Non più tra di noi
Parlare degli avvoltoi
E del mar e dei suoi sepolcri
Raccontano tragedie inaudite
Naufraghi che supplicano il mare
Gli cantano ogni poesia che lo possa domare
Purché risparmi le loro vite
O mar altero!
Donaci una terra florida,
e un animo pietoso e impavido
E non un mesto cimitero…
In fondo tu o mare!
Ci culli, culli
Siamo noi i tuoi fanciulli
Com’è bello morire nel mare!
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